Teatro

Serena Sinigaglia dirige 1989 Crolli

Serena Sinigaglia dirige 1989 Crolli

Lunedì 8 gennaio la regista debutta in prima nazionale al Teatro Leonardo di Milano con 1989 Crolli, ovvero del disorientamento, con Fabio Chiesa, Mattia Fabris, Matilde Facheris, Stefano Orlandi e Marcela Serli. Serena Sinigaglia, 33 anni, si è diplomata in regia all’Accademia d’Arte Drammatica Paolo Grassi nel 1996 e, dopo aver lavorato con Gabriele Vacis e Gigi Dall’Aglio, ha fondato l’ATIR (Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca) di cui è presidente e direttore artistico. Parlando con noi si concede con generosità a divagazioni interessanti. Cosa ci racconti di questo debutto nazionale, 1989 Crolli ? E’ importante dire che è l’ultimo capitolo di una trilogia su cui ho lavorato per 10 anni. Trilogia che ho chiamato “Incontri con epoche straordinarie” prendendo spunto dal volume di Gurdjieff, che adoro. Lui scrisse ‘Incontri con persone straordinarie’ mentre io ho parlato dei tempi. Il primo fu 1943, Come un cammello in una grondaia, ovvero del coraggio, il secondo 1968, ovvero dell’incanto e ora, con 1989 Crolli, racconto dell’unico evento in cui ero viva e pensante. Il fatto che questo ti abbia vista partecipe gli da un sapore diverso? Sì. C’è un tormento diverso, più viscerale, una incompiutezza nuova. Più una cosa ti è vicina, più ti fa paura. Questa opera è la più complessa della trilogia e ha un testo originale. Per 1943 avevo usato le ‘Lettere dei condannati a morte della resistenza’, un magnifico volume edito da Einaudi con la prefazione di Thomas Mann che ho usato come una Bibbia. Ho raccolto interviste originali e articoli di giornalisti impegnati: sono stata molto rigorosa nello scegliere le parole dello spettacolo. Come con 1968, dove mi sono attenuta a testi originali: ho usato solo parole tratte da documenti ufficiali, volantini, manifesti, discorsi. Tutti scrivevano, allora, è stata un’epoca molto verbosa. A chi voleva criticarmi ho risposto: ‘Parole loro, non mie’. E mi sono molto divertita, vi ho messo musiche dei Betles, dei Rolling Stones, di Bruce Springsteen… Invece questo? E’ il primo testo che abbia scritto io ragionando su quegli anni. Credo che dal crollo del muro di Berlino, a cui si riferisce, dopo la caduta del comunismo, l’uccisione di Ceausescu e fino a Saddam, tutto si ripeta nell’indifferenza. Ora capisco che anche la guerra fredda non era la fine ma l’inizio di un’altra cosa. Ti sei trasformata in una storica, tuo malgrado? Sì, ma voglio andarci giù dura, dal mio punto di vista. Avevo 16 anni nel 1989 e ci rifletto adesso: se io oggi sono quella che sono, è anche per quanto è successo allora. A cosa ti riferisci? Se il comunismo è crollato e il capitalismo, con la sua sfrontatezza, ha prevalso non è stato solo un fatto economico. Sono cresciuta circondata da inviti a comprare in modo sfrenato e a non credere in alcun ideale. Accidenti se sono cresciuta così! Adesso quella roba è anche oltre, è tracotante, non tentano neanche di mascherarla. Tutta l’economia capitalista senza valori dilaga senza freni. Credi che prima fosse diverso? Quelli di prima avevano avuto delle speranze ma sono rimasti delusi e non hanno saputo insegnarci nulla. Hanno vinto quelli che spendono di più. Oggi mi chiedo se compro i biscotti che fanno male agli indiani che lavorano senza regole o quelli che fanno venire il cancro? Tutti hanno capito di dover cambiare proprio per non cambiare nulla. A quei tempi, Putin non era un maggiore del KGB? E diventa amico di Berlusconi, il quale dice che i comunisti mangiano i bambini? Non è un corto circuito, questo? Ho letto tantissimi documenti autentici e direi che la morte di Ceausescu è servita a pulire la faccia a chi ora è nei governi ‘democratici’, con tanto di libero mercato democratico. Tutto questo è cominciato nel 1989 e non vedo nulla da festeggiare. Rimpianti? No, non ritengo affatto che il comunismo dovrebbe tornare, non me ne frega niente. Ma i valori della giustizia, dell’onestà, della speranza, ci mancano. Credo che oggi non resti altro da fare che prendersi le proprie responsabilità e stringersi forte a quelle. Difatti l’ultima parte dello spettacolo l’ho dedicato ad Anna Politkovskaja, anche se io forse non avrei saputo, come lei, con due figli, correre simili rischi. Lei lo ha fatto, fino in fondo, come il ragazzo di piazza Tienanmen, piccolo e solo davanti ai carri armati. Non credo si possano fare gesti davvero eroici. Ma pure io: nel mio piccolo, sono una donna, una regista, vivo in un Paese di cattolici ortodossi e rinuncio ai soldi. Perché chiunque faccia teatro, qui, almeno per 20 anni sceglie la povertà ed è considerato una merda, eppure io lo faccio. E' la mia responsabilità. Ti senti davvero così? Per me la Politkovskaja è il vero esempio. Me ne frego se non ho i soldi per fare quello che vorrei, va bene così. Vedi, tutto è legato all’ingiustizia sociale. Bisognerebbe creare un sistema equo dal punto di vista della giustizia sociale, ma rispettando le diversità individuali. Ecco il grande errore del comunismo: noi non siamo affatto tutti uguali, ma dobbiamo avere gli stessi diritti! Nessuno somiglia a un altro ma dovrebbe essere trattato allo stesso modo. Poi, considera che negli anni ’80 sono nati i personal computer: il 1989 è stato come una terra di confine con la globalizzazione. Ha segnato la fine di tutte le guerre precedenti e l’inizio di una nuova forma di guerra globale, anche per l’informazione. Cos’altro ci dici dello spettacolo? E’ il primo che ho scritto e mi sono servita dell’aiuto di quattro drammaturghi, scelti attraverso un concorso fatto da AtirTeatro. Hanno risposto in 30, li ho selezionati e quattro mi hanno aiutata nei testi. E’ stata una follia ma dovevo farlo, sono una testarda. Ci tenevo, è uno spettacolo incompiuto e potrebbe aprire ad altri tre spettacoli. Ma vorrei seguire altri argomenti, più avanti.